Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22027 - pubb. 04/07/2019

Punibilità delle condotte di bancarotta commesse nella gestione di società ammesse al concordato preventivo con continuità

Cassazione penale, 03 Settembre 2018, n. 39517. Est. Tudino.


Procedure concorsuali – Concordato preventivo con continuità – Bancarotta – Punibilità ex art.236 L.F. – Sussiste



L'articolo 186 bis della Legge fallimentare non ha introdotto un nuovo Istituto concordatario ma ha completamente disciplinato presupposti ed effetti di una procedura già ricompresa nella pluralità di forme attraverso cui il concordato preventivo poteva già essere declinato. Siffatta ricostruzione esclude qualsiasi incidenza della modifica normativa sul precetto penale e, dunque, un fenomeno di successione nel tempo di norme extrapenali rilevante ex articolo 2 c.p.

Pertanto, le innovazioni normative dell'istituto del concordato preventivo con continuità aziendale non costituiscono modificazioni della norma extrapenale integratrice del precetto di cui all'articolo 236 L.F., che trova applicazione anche in riferimento al concordato preventivo con continuità dell'attività di impresa. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo - Presidente -

Dott. CATENA Rossella - Consigliere -

Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere -

Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere -

Dott. TUDINO A. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale di Bari-Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale ha rigettato l'impugnazione proposta da S.A. - indagato di plurimi fatti di bancarotta - avverso l'ordinanza del Gip del 29 gennaio 2018 che, per quanto in questa sede rileva, aveva applicato nei confronti dell'indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari.

1.1. In estrema sintesi, la vicenda cautelare riguarda gravi e numerose operazioni dolose, sorrette da falsità del bilancio e infedeltà patrimoniali e realizzate mediante condotte di sostanziale spoliazione, protrattesi sin dall'epoca della sua costituzione in seguito alla cessazione della gestione commissariale governativa, della Ferrovie dello Stato e Servizi Automobilistici s.r.l. (d'ora in poi FSE), società ex lege di gestione dei pubblici trasporti pugliesi, interamente partecipata dal Ministero delle infrastrutture. Indagini della magistratura ordinaria e contabile avevano determinato il Ministero alla nomina del Commissario straordinario in data 12 gennaio 2016 e, su richiesta di questi, l'ammissione della società a concordato in continuità.

I successivi accertamenti svolti avevano consentito di enucleare a carico di F.L. - già commissario governativo e quindi legale rappresentante e amministratore unico di FSE dal 1 gennaio 2001 al 24 novembre 2015 - gravi condotte di bancarotta societaria mediante falso in bilancio ed altre infedeltà patrimoniali, bancarotta patrimoniale per dissipazione e distrazione, enucleando plurime operazioni dolose causative del dissesto.

Nel contesto della investigazioni, si era venuta a delineare la figura dell'avvocato S.A., a carico del quale venivano ravvisati gravi indizi ritenuti dal Gip nell'ordinanza impositiva concludenti di una forma di concorso, in qualità di extraneus e non già di (co)amministratore di fatto, come ipotizzato dal PM - nelle plurime condotte oggetto di provvisoria incolpazione; ruolo derivantegli non solo dall'essere stato beneficiario di ingenti somme a titolo di compenso per onorari dovuti al predetto professionista in virtù di convenzioni stipulate con FSE per consulenza legale, somme risultate abnormi tanto in riferimento all'effettiva attività prestata che ai criteri di liquidazione, distratte dal patrimonio della società (capo F con assorbimento del capo S), ma anche per aver operato una sorta di complessiva consulenza in favore del F., con enucleazione di un rilevante contributo causale anche in riferimento alle ulteriori imputazioni.

1.2. L'ordinanza impositiva del Gip che, in accoglimento della richiesta del PM, ha applicato a carico dell'indagato la misura coercitiva degli arresti domiciliari, è stata confermata dal tribunale del riesame che - decidendo sulla sussistenza delle condizioni cautelari all'esito della rinuncia del ricorrente ai motivi di impugnazione in punto di gravità indiziaria - ha ritenuto in concreto sussistente il pericolo attuale di recidiva, alla luce degli elementi dimostrativi copiosamente versati in atti ed ampiamente ripercorsi nell'ordinanza.

2. Avverso l'ordinanza, ha proposto ricorso l'indagato, per mezzo del difensore, deducendo plurime censure.

2.1 Con il primo motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge penale per motivazione extra petita in relazione ai gravi indizi di colpevolezza, avendo il tribunale inosservato il divieto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza, oggetto di esplicita rinuncia nell'udienza di riesame, ed ai quali è stata, invece, dedicata gran parte della motivazione. Censura, sotto il medesimo profilo, la surrettizia violazione della L. n. 47 del 2015, avendo il tribunale utilizzato l'ampia rassegna dedicata agli indizi di colpevolezza in termini di gravità per motivare la fondatezza dell'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato.

2.2. Con il secondo motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge penale e delle norme di cui si deve tener conto nella sua applicazione, nonchè correlato vizio della motivazione, in riferimento all'art. 223 L.fall. e L. n. 134 del 2012, art. 186-bis per avere il tribunale applicato in via analogica la norma penale incriminatrice a fattispecie non prevista. Sulla questione, prospettata con il riesame, il tribunale ha rassegnato una motivazione carente ed illogica, ritenendo che il concordato in continuità costituisca mera modalità del concordato preventivo, mentre le disposizioni penali contenute nella legge fallimentare in riferimento alla procedura concordataria sono formulate in modo tassativo che, rimasta immutata la formulazione dell'art. 236 I.f., non ne consente l'estensione in malam partem. Soluzione obbligata anche laddove si valorizzi la ratio e la disciplina del concordato in continuità, finalizzato alla prosecuzione dell'attività aziendale ed al quale è estraneo l'elemento dello stato di decozione, e che pertanto introduce un istituto del tutto diverso, sotto il profilo strutturale e funzionale, dalla procedura concordataria liquidativa.

2.3. Con il terzo motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge processuale e correlato vizio della motivazione, in riferimento ai parametri di giudizio di cui all'art. 274 cod. proc. pen.. La valutazione di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato è stata illogicamente fondata sulla pretesa costante assistenza materiale prestata in favore dell'amministratore F., sull'ammontare dei profitti conseguiti, sul lasso temporale di durata della collaborazione, sull'esistenza di cospicui crediti per prestazioni professionali ancora insolute, con inferenza dalla gravità indiziaria del preteso pericolo. Di guisa che l'ordinanza impugnata è da un lato carente di adeguata motivazione, dall'altro omette di valutare la cessazione - sin dal 19 gennaio 2016 - di qualsivoglia rapporto professionale con FSE e con i coindagati F. e V., anche questi ormai estranei alla società, nonchè l'attuale commissariamento di FSE, illogicamente valorizzando la durata dei pregressi rapporti che avevano legato il professionista alla società. Con conseguente mancanza di indicatori di un concreto ed attuale pericolo di recidiva, anche considerando il dato cronologico dell'imputazione - anni 2007-2015 - ed il decorso di un apprezzabile lasso temporale dalla sua cessazione. Del tutto illogicamente è stata, inoltre, valorizzata la circostanza per cui l'indagato abbia legittimamente richiesto, per mezzo del difensore, il pagamento delle spettanze maturate per prestazioni professionali in favore di FSE, confermando invece ulteriormente tale circostanza la definitiva interruzione dei rapporti, mentre la condotta collaborativa dell'indagato nel corso delle indagini con i consulenti del pubblico ministero è stata in toto sottovalutata, potendo evincersi dalla costante presenza nello studio professionale del consulente Sc. "un controllo preventivo dell'operato dell'indagato rispetto al momento di applicazione della misura" ed avendo l'indagato chiesto di essere interrogato sin dall'agosto 2017. Così come non risulta apprezzata l'incensuratezza dell'indagato e la portata dissuasiva dello strepitus fori determinato dalla vicenda.

2.4. Con il quarto motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge processuale e correlato vizio della motivazione, in riferimento ai parametri dei proporzionalità ed adeguatezza della misura ex art. 275 cod. pen., avendo a riguardo il tribunale illogicamente valorizzato una condanna non definitiva, peraltro richiamando impropriamente principi declinati dalla giurisprudenza di legittimità, e sottovalutato la compartecipazione, a titolo di concorso, dell'indagato ritenuta dal Gip, che ha escluso la qualificazione dello S. nel profilo dell'amministratore di fatto.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. In riferimento al primo motivo di ricorso, con il quale si censura la valutazione della provvista indiziaria svolta dal tribunale pur a fronte della rinuncia all'impugnazione sul punto, va rilevato come, secondo il consolidato orientamento di legittimità, il riesame di una misura cautelare personale è mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo e l'interessato non può, pertanto, limitare il potere di cognizione del tribunale ad uno solo dei presupposti della misura (nel caso di specie, le esigenze cautelari), precludendo con la rinunzia ai motivi l'esame dei gravi indizi.

2.1. Invero, in materia di impugnazioni contro provvedimenti de libertate, il tribunale della libertà, investito in sede di riesame o di appello del tema relativo alla insussistenza della esigenza cautelare ritenuta nella ordinanza, ha il potere di confermare la misura cautelare anche per esigenze diverse da quelle poste alla base della sua applicazione (ex plurimis: Sez. 6, n. 26458 del 12/03/2014, Riva, Rv. 259976; Sez. 6, n.4294 del 10/12/2012, Scaccia, Rv. 254416, Sez. 5, n. 4446 del 05/12/2006, dep. 2007, Semeraro, Rv. 235687). Le condizioni cautelari rappresentano, infatti, un unitario compendio, sebbene declinato sotto i diversi profili previsti dall'art. 274 cod. proc. pen., e la loro valutazione non può che essere omnicomprensiva ed attenere alla globalità dei predetti profili, secondo la previsione dell'art. 309 c.p.p., comma 9, che consente al tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all'imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell'atto di impugnazione, ovvero di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento (Sez. 6, n. 2056 del 04/06/1999, Porkar, Rv. 214117).

2.2. Non viola, pertanto, il principio della domanda cautelare il giudice della cautela che ritenga sussistente un periculum libertatis diverso o ulteriore rispetto a quello indicato dal Pubblico Ministero richiedente (Sez. 3, n. 43731 del 08/09/2016, Borovikov, Rv. 267935, in motivazione, la S.C. ha escluso l'applicabilità alla materia del principio dettato dall'art. 521 cod. proc. pen., in quanto il giudice cautelare, una volta investito della domanda, è funzionalmente competente ad esercitare i più ampi poteri di valutazione degli indizi di colpevolezza e delle necessità cautelari, non essendo logico consentire che, in mancanza di una esigenza ma in presenza delle altre, l'imputato possa ledere gli interessi che la misura è preordinata a salvaguardare) (V. Sez. 5 Num. 13426 del 2018, Marseglia; Sez. 6 n. 18853 del 2018, Puro; Sez. 5 Num. 57783 Anno 2017 PM in proc. Gemellini).

2.3. Nè l'ampia rassegna della piattaforma indiziaria prospettata nell'ordinanza impugnata ha inteso risolvere nella mera gravità dei fatti la valutazione delle esigenze di cautela.

Invero, il nuovo testo dell'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione, imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (Sez. 5, Sentenza n.49038 del 14/06/2017, Silvestrin, Rv. 271522,: N. 45659 del 2015 Rv. 265168, N. 37839 del 2016 Rv. 267798); valutazione, nella specie, presidiata dall'apprezzamento di ulteriori indicatori di concreta ed attuale pericolosità.

3. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura l'estensione in malam partem dell'art. 236 L.fall. in relazione alla procedura concordataria di cui all'art. 186-bis, introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012, non è fondato.

L'impugnazione pone la questione della applicabilità dell'art. 236 L.fall. anche al concordato preventivo con continuità aziendale, in assenza di un esplicito richiamo normativo nella norma incriminatrice in seguito all'introduzione del predetto istituto.

3.1. Nell'affrontare il thema, va innanzitutto premesso e ribadito - in riferimento all'ambito applicativo della norma evocata - il costante insegnamento di questa Corte secondo cui le condotte distrattive poste in essere prima dell'ammissione al concordato preventivo rientrano nell'ambito previsionale dell'art. 236, comma 2, n. 1), L.fall., il quale - in virtù dell'espresso richiamo del precedente art. 223 della stessa legge - punisce i fatti di bancarotta previsti dall'art. 216, commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite (ex multis Sez. 5, Sentenza n.26444 del 28/05/2014, Denaro, Rv. 259849, Sez. 5, n. 16504 del 12 gennaio 2010, Antonelli, Rv. 247243). In tal senso, è irrilevante che la società non sia stata dichiarata fallita, atteso che la norma incriminatrice richiamata estende la punibilità dei titolari di cariche sociali per le condotte di bancarotta commesse nella gestione di società ammessa al concordato preventivo, nè rileva che i soggetti attivi abbiano eventualmente dismesso tali cariche al momento dell'apertura della procedura concorsuale, in linea con la volontà del legislatore di punire, in maniera autonoma, le condotte di bancarotta nelle diverse procedure concorsuali, al fine di evitare che gravi comportamenti verificatisi prima - ed anche in assenza - del fallimento restino impuniti (nello stesso senso Sez. 5, n. 12897 del 6 ottobre 1999, Tassan Din B., Rv. 214859 con riguardo a fatti commessi nell'ambito della allora vigente procedura di amministrazione controllata, la cui disciplina penale era però accomunata dall'art. 236 a quella del concordato preventivo). L'autonomia della fattispecie in esame rispetto alle diverse ipotesi di bancarotta contemplate dalla legge fallimentare, con le quali sostanzialmente condivide l'oggetto giuridico, si caratterizza per il particolare disvalore della modalità d'offesa selezionata dalla norma incriminatrice, individuato nella consumazione delle tradizionali condotte di bancarotta nell'ambito delle singole procedure concorsuali pre-fallimentari.

3.2. Nel quadro così delineato, va ulteriormente rilevato come la disciplina del concordato preventivo, introdotta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con mod., con L. 14 maggio 2005, n. 80, avesse espressamente previsto la possibilità, per l'imprenditore in stato di crisi, di proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che "può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie" (art. 160 legge fall.). Tale norma è stata unanimemente interpretata nel senso che l'imprenditore potesse (anzi poteva, essendo, ad oggi, la situazione parzialmente mutata per effetto del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) formulare ai creditori qualsiasi proposta idonea a risolvere lo stato di crisi e che l'approvazione della proposta fosse rimessa alla volontà dei creditori, restando in capo al tribunale fallimentare la funzione di assicurare il rispetto dei principi che regolano la materia concordataria, tra cui, principalmente, quello che ai creditori venga formulata una proposta chiara, sulla base di una veridica rappresentazione della situazione aziendale, e venga proposto un piano fattibile.

Nel quadro così delineato, per effetto del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 33, comma 1, lett. h), come modificato dalla Legge di conversione L. 7 agosto 2012, n. 134 - che ha introdotto nel corpo della legge fallimentare l'art. 186-bis all'imprenditore è stata riconosciuta la facoltà di presentare un piano che preveda "la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione (c.d. NewCo)", sulla base di criteri e valori determinati dal proponente e asseverati da un professionista abilitato.

Secondo l'unanime opinione della dottrina civilistica più autorevole, l'art. 186-bis non ha introdotto nella legge fallimentare un nuovo istituto concordatario, ma ha compiutamente disciplinato presupposti ed effetti di una procedura già ricompresa nella pluralità di forme attraverso cui il concordato preventivo poteva già essere declinato. Già prima dell'entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito il c.d. decreto sviluppo (D.L. 22 giugno 2012), avrebbe potuto considerarsi quale concordato con continuità aziendale (rectius: con continuità dell'attività d'impresa) la procedura secondo cui, di fatto, proseguisse l'attività imprenditoriale. Siffatta configurazione della procedura concordataria non era, invero, oggetto di autonoma disciplina differenziatrice rispetto alle altre forme c.d. liquidatorie, di guisa che "rilevare che l'attività d'impresa non si era, nè si sarebbe, conclusa, finiva per avere, essenzialmente, una mera finalità descrittiva".

L'intervento normativo citato ha, dunque, tipizzato e formalizzato una figura di concordato già giuridicamente delineata e concretamente applicata nella prassi, attribuendole gli speciali benefici previsti sia dall'art. 186-bis che, in parte, dall'art. 182-quinquies L.fall. prevedendo, da un lato, l'inefficacia di preesistenti clausole contrattuali risolutive e la possibilità di proseguire i contratti con la PA o di partecipare a gare per la concessione di appalti pubblici e, dall'altro, la possibilità di autorizzazione al pagamento di crediti anteriori per prestazioni essenziali.

In estrema sintesi, la riforma non ha introdotto un nuovo istituto fallimentare, ma ne ha - solo - esplicitato i benefici, funzionali alla realizzazione dello scopo conservativo.

3.3. Siffatta ricostruzione esclude, all'evidenza, qualsivoglia incidenza della modifica normativa sul precetto penale e, dunque, un fenomeno di successione nel tempo di norme extrapenali, rilevante ex art. 2 cod. pen..

Ed invero i principi che regolano l'incidenza sulla struttura del reato delle norme extrapenali sono stati progressivamente declinati dalla giurisprudenza di questa Corte, e le Sezioni Unite hanno definito i parametri ai quali fare, di volta in volta, riferimento, al fine di verificare se lo ius novum interferisca con la definizione del precetto o se si limiti, invece, a modificare la situazione di fatto a cui la norma incriminatrice si riferisce (Sez. U, Sentenza n.2451 del 27/09/2007 Ud. (dep. 16/01/2008) Rv. 238197, PG in procedimento Tragara).

Richiamando la necessità di una puntuale verifica della fattispecie incriminatrice astratta, in linea di continuità con il metodo delineato nella sentenza S. U. 26 marzo 2003, n. 25887, Giordano, la Corte ha rilevato come, ai fini della verifica dell'applicabilità dell'art. 2 c.p.p., comma 2 non basti "riconoscere che oggi il fatto commesso dall'imputato non costituirebbe più reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga in collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato. In questo caso ci si trova in presenza di un'abolitio criminis parziale, analoga a quella che si verifica quando è la stessa disposizione penale ad essere modificata con l'esclusione di una porzione di fattispecie che prima ne faceva parte (...). La successione avvenuta tra norme extrapenali non incide invece sulla fattispecie astratta, ma comporta più semplicemente un caso in cui, in concreto, il reato non è più configurabile, quando rispetto alla norma incriminatrice la modificazione della norma extrapenale comporta solo una nuova e diversa situazione di fatto".

Di guisa che solo nel primo caso si può parlare di modificazioni mediate della norma incriminatrice, da trattare, alla stregua dell'art. 2 cod. pen., come una successione di norme penali (V. Sez. V. Num. 26580 del 21 febbraio 2018, Lo Piccolo).

I principi richiamati, elaborati in thema di abolito criminis, costituiscono massime di orientamento anche nella soluzione della questione relativa alla qualificazione, in termini di estensione dell'incriminazione, di modifiche di norme extrapenali a seconda che incidano o meno sulla portata del precetto, delineandone il comando.

3.3. Nel caso in disamina, l'intervento normativo attuato mediante inserimento, nella legge fallimentare, dell'art. 186-bis ha comportato la mera previsione, in dettaglio, di speciali benefici connessi all'istituto del concordato con continuità aziendale, invece strutturalmente già previsto in quanto rientrante nel novero delle molteplici forme in cui la procedura concordataria poteva già atteggiarsi, in presenza dei previsti requisiti.

Di guisa che lo ius novum è circoscritto alla sola triplice esplicazione della prosecuzione dell'attività d'impresa, declinata "in modo legalmente tipico dall'art. 186-bis", e dai requisiti formali ivi previsti, ma non investe in alcun modo le coordinate essenziali dell'istituto, non dispiegando effetto alcuno sulla portata del precetto penale di cui all'art. 236 L.fall..

In tal senso, il mancato richiamo all'art. 186-bis nella norma incriminatrice appare del tutto in linea con la funzione e la struttura della predetta norma extrapenale, e non esprime, invece - come prospettato dal ricorrente - alcuna volontà del legislatore di escludere rilievo penale a gravi condotte consumate prima o mediante la procedura di concordato con continuità aziendale, apparendo del tutto irragionevole ritagliare una pretesa area di impunità in riferimento a condotte distrattive poste in essere prima dell'ammissione o nel corso del concordato preventivo, in qualunque declinazione l'istituto operi, rientrando le stesse nell'ambito previsionale dell'art. 236, comma 2, n. 1) L.Fall. che, in virtù dell'espresso richiamo del precedente art. 223 stessa legge, punisce i fatti di bancarotta previsti dall'art. 216, commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite.

Non vi è, pertanto, alcuna giustificazione razionale nel pretendere un diverso regime penale rispetto ad una ipotesi di concordato che riposa sulle medesime condizioni delle ulteriori forme della stessa procedura, e che se ne distingue solo in ordine alla disciplina civilistica di dettaglio, funzionale alla continuità dell'attività di impresa.

Nè a diversa soluzione interpretativa conduce la valorizzazione, nella procedura in disamina, dello scopo di continuità aziendale, in quanto la funzione conservativa costituisce il fine cui l'istituto tende, mentre la ratio dell'incriminazione di cui all'art. 236 L.fall. fonda sulla causazione, mediante dolose operazioni distrattive, dello stato di crisi, che costituisce presupposto di ammissione alla procedura e configura pericolo concreto per le ragioni dei creditori, con conseguente irrilevanza, sul punto, della natura conservativa e non liquidatoria del concordato.

Deve, pertanto, affermarsi il principio di diritto per cui le innovazioni normative degli aspetti civilistici dell'istituto del concordato preventivo con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis L. Fall., introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, come modificato dalla Legge di conversione L. 7 agosto 2012, n. 134, non costituiscono modificazioni della norma extrapenale integratrice del precetto di cui all'art. 236 medesima L.Fall., che trova applicazione anche in riferimento al concordato preventivo con continuità dell'attività di impresa.

4. Sono infondati il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

4.1. Va premesso come, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari sia ammissibile soltanto ove denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (...) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, Sentenza n. 18795 del 02/03/2017 Cc. (dep. 18/04/2017) Rv. 269884). Va, altresì, evidenziato come, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze di cautela, alla Corte Suprema spetti solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di verificare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (sez. 4, n. 26992 del 29.5.2013, rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6.7.2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475). E, ancora di recente, è stato affermato che la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia carente dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244).

4.2. Spetta, dunque, a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e la sussistenza delle ragioni di cautela, scrutinando la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie.

Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese siano congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, alla stregua di un requisito positivo - l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda il provvedimento - e di altro negativo - assenza di illogicità evidenti, risultanti prima facie dal testo del provvedimento impugnato.

4.3. Alla stregua dei principi enunciati, devesi rilevare come le censure introdotte nel ricorso in punto di valutazione dell'attualità del periculum e dell'adeguatezza della misura applicata e della relativa motivazione dell'adeguatezza non siano fondate.

In riferimento al pericolo di recidiva, il tribunale distrettuale ha fatto corretta applicazione dei principi declinati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "in tema di esigenze cautelari, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, impone la previsione, in termini di alta probabilità, che all'imputato si presenti effettivamente un'occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie, e la relativa prognosi comporta la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, mentre, nelle ipotesi in cui tale preliminare valutazione sia preclusa, in ragione delle peculiarità del caso di specie, il giudizio sulla sussistenza dell'esigenza cautelare deve fondarsi su elementi concreti - e non congetturali - rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, e idonei a dar conto della continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi dell'effettività di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione" (Sez. 5, Sentenza n.12618 del 18/01/2017, Cavaliere, Rv. 269533).

In tal senso, il tribunale ha valorizzato non solo la rilevanza del contributo prestato dall'indagato, nell'ampia latitudine cronologica delineata dalla provvisoria incolpazione, nella programmazione ed esecuzione della complessa condotta di sostanziale spoliazione derivante dal profilo professionale rivestito, bensì la complessiva competenza ed il know how dal medesimo acquisito, inferendo positivi indicatori di attuale pericolosità anche dalla condanna per fatti, caratterizzati dalla medesima oggettività giuridica e relativi a diversa società, riportata dallo S..

Nella delineata prospettiva, l'elevato grado di conoscenza di meccanismi di dissimulazione di condotte sostanzialmente distrattive, paludate da apparente giustificazione sostanziale - rispetto al quale non dispiega rilievo attenuatore l'interruzione dei rapporti professionali con FES - appare circostanza idonea a fondare, con adeguato grado di attualità e concretezza, il pericolo di consumazione di reati che presentino "uguaglianza di natura" in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive (Sez. 5, Sentenza n.52301 del 14/07/2016, Petroni, Rv. 268444).

4.4. Le censure introdotte nel ricorso in punto di motivazione dell'adeguatezza della misura cautelare in atto sono, parimenti, infondate.

Nel caso in esame, il tribunale distrettuale ha fatto corretta applicazione del principio della minor compressione possibile della libertà personale (V. Sez. U, Sentenza n.16085 del 31/03/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324), rappresentando un percorso giustificativo esente da evidenti profili di illogicità.

Nell'ancorare il pericolo di recidiva agli indicatori enunciati rispetto ai quali è stato ritenuto recessivo lo status di incensuratezza, il tribunale ha - nel quadro di apprezzamento del rischio di reiterazione come nel caso di specie connotato razionalmente applicato il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, come parametro di commisurazione della misura cautelare alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, avendo escluso l'idoneità di altre misure, meno afflittive, a contenere il pericolo di reiterazione del reato, in considerazione dello specifico atteggiarsi in concreto della condotta dell'indagato e del profilo di reiterabilità come sopra ricostruito, che effettivamente non appare idoneo ad essere contenuto attraverso prescrizioni non impeditive di contatti con terzi.

5. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2018.