Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12102 - pubb. 18/02/2015

L’amministratore di sostegno può rappresentare il beneficiario anche in atti personalissimi: per separazione, divorziare, impugnare il matrimonio

Cassazione civile, sez. I, 30 Giugno 2014, n. 14794. Est. Lamorgese.


Atti personalissimi - Amministrazione di Sostegno - Ammissibilità di poteri dell’amministratore - Sussiste - Azione di separazione, di divorzio, di annullamento del matrimonio - Ammissibilità - Sussiste

Pretesa degli eredi di impugnare il matrimonio del de cuius - Art. 428 cod. civ. - Applicabilità in ambito matrimoniale - Esclusione - Fondamento - Artt. 120 e 127 cod. civ. - Pretesa illegittimità costituzionale, con riferimento all'art. 3 Cost. - Manifesta infondatezza



Alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva, deve ammettersi la possibilità per l'amministratore di sostegno, qualora nominato (ed esclusi i casi di conflitto di interessi), di coadiuvare o affiancare la persona bisognosa nella espressione della propria volontà, preservandola da eventuali pressioni o ricatti esterni, anche relativamente al compimento di atti personalissimi, come ritenuto da una giurisprudenza di merito avanzata che lo ha autorizzato, previo intervento del giudice tutelare, a proporre ricorso per separazione personale o per cessazione degli effetti civili del matrimonio del beneficiario. Il prospettato dubbio di legittimità costituzionale degli artt. 120 e 127 c.c., può essere, allora, superato aderendo ad una interpretazione evolutiva e di sistema che offra alla persona coniugata o in procinto di contrarre matrimonio gli strumenti per esercitare, direttamente o indirettamente, il diritto fondamentale di autodeterminarsi nella scelta consapevole di impugnare il matrimonio e, in via preventiva, di contrario in condizioni di piena libertà e senza condizionamenti. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L'art. 428 cod. civ., che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e di volere, non si applica in ambito matrimoniale, il cui regime delle invalidità è disciplinato da norme speciali, le quali, nel bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al matrimonio e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del "de cuius" allo scopo di ottenere l'annullamento del suo matrimonio, assegnano preminenza, in modo non irragionevole, all'esigenza di tutela del primo e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 120 e 127 cod. civ., con riferimento all'art. 3 Cost., laddove esclude la legittimazione piena ed autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacità di intendere e di volere. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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