Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22793 - pubb. 11/01/2019

Revocatoria fallimentare e riassunzione del processo nei confronti della cessionaria ex art. 90 TUB

Cassazione civile, sez. I, 14 Maggio 2014, n. 10456. Pres. Vitrone. Est. Rosa Maria Di Virgilio.


Revocatoria fallimentare - Liquidazione coatta amministrativa -  Interruzione e riassunzione del processo nei confronti della cessionaria



Ove sia stata azionata domanda di revocatoria fallimentare delle rimesse solutorie nei confronti di società bancaria, posta in liquidazione coatta amministrativa in corso di causa, da cui l'interruzione del processo, va ritenuta valida la riassunzione effettuata nei confronti della cessionaria D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90, da equipararsi alla chiamata in causa della stessa quale successore a titolo particolare, essendo improseguibile per legge l'azione nei confronti della Liquidazione coatta amministrativa. (massima ufficiale)


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo - Presidente -

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -

Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - rel. Consigliere -

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


Svolgimento del processo

Nel giudizio promosso dal Fallimento DMT F.;B s.r.l. contro Sicilcassa S.p.A., per ottenere la revoca, ex art. 67, comma 2, l.f., dei versamenti oltre il limite dei fidi eseguiti dalla società nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento(18/5/94) sul conto corrente di corrispondenza n. (*), già intrattenuto presso la Sicilcassa, veniva dichiarata l'interruzione del giudizio all'udienza del 21 gennaio 1998, a seguito della notifica al Fallimento della messa in liquidazione coatta amministrativa della Sicilcassa.

Con ricorso depositato il 25 marzo 1998, e notificato il successivo 9 aprile, il Fallimento riassumeva il processo nei confronti del Banco di Sicilia S.p.A., quale successore della Sicilcassa, che, regolarmente costituitosi, eccepiva l'estinzione del processo, la nullità della riassunzione, la non integrità del contraddittorio, il proprio difetto di legittimazione passiva, e l'infondatezza nel merito della domanda.

Con sentenza non definitiva, depositata il 1 ottobre 2001, il Tribunale respingeva le eccezioni pregiudiziali e preliminari, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.

Con atto di fusione del 18 giugno 2002, il Banco di Sicilia veniva incorporato nella Capogruppo Banca di Roma, che assumeva la denominazione di Capitalia società per azioni, la quale, con atto del 21 giugno 2002, conferiva il ramo d'azienda già in precedenza incorporato ad una società del gruppo, che assumeva la denominazione di Banco di Sicilia, società per azioni, che proponeva appello avverso la sentenza non definitiva.

La Corte d'appello di Palermo, con sentenza 18 aprile-5 giugno 2006, ha confermato la sentenza non definitiva del Tribunale di Palermo in data 14/9-1/10/2001, respingendo l'impugnazione proposta dal Banco di Sicilia.

Nello specifico, e per quanto ancora interessa, la Corte del merito ha rilevato che:

-la cessione ad altra banca, in caso di liquidazione coatta amministrativa, di "attività, passività, aziende, rami d'azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco", ai sensi e nel vigore del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2, implica per le posizioni debitorie, la costituzione di un'ulteriore obbligazione con vincolo di solidarietà oppure, ove si determini la liberazione del debitore originario, un mutamento soggettivo riconducibile nell'ambito della successione nel rapporto (così la pronuncia delle Sezioni unite, 15005/2001);

-l'azione del creditore, rivolta esclusivamente contro la banca cessionaria, coinvolge un soggetto diverso dalla banca cedente in liquidazione coatta amministrativa, così sottraendosi alle speciali disposizioni che regolano l'esercizio del credito in pendenza ed all'interno della procedura liquidatoria;

correttamente, il processo interrotto per la messa in l.c.a. di Sicilcassa era stato riassunto nei confronti del Banco di Sicilia, subentrato alla banca originaria obbligata, senza alcuna necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti della Liquidazione coatta amministrativa, estranea alla pretesa azionata; con l'atto di cessione del 6 settembre 1997 per atto notaio Serio, si é realizzato un trasferimento d'azienda, e dall'art. 2 si evince che le parti non hanno limitato il trasferimento alle sole passività risultanti dallo stato passivo, ma hanno previsto la cessione di attività e passività esistenti a quella data nonché di "ogni altro rapporto o sopravvenienza attiva o passiva..., riconducibile alle attività e passività trasferite", e poiché non é stata offerta prova da cui desumere l'espressa esclusione del rapporto con la DMT dalla cessione in base ai commi 3 e 4 dell'art. 2 dell'atto del 6 settembre 1997, deve ritenersi che tra i rapporti ceduti v'é anche quello di conto corrente per cui é causa, e quindi, in forza della clausola contrattuale, l'azienda cessionaria di quel rapporto é subentrata in ogni sopravvenienza passiva riconducibile all'attività trasferita, e pertanto, anche nel debito gravante sull'azienda di credito per il caso di accoglimento della domanda di revoca delle rimesse;

-la circostanza che il debito non risultasse dai libri obbligatori di Sicilcassa al momento della cessione, non esclude che il cessionario debba rispondere delle passività riconducibili al rapporto, anche se non ancora esistenti, perché con l'art. 2, comma 1 dell'atto di cessione, le parti hanno fatto generale riferimento alle sopravvenienze attivo o passive riconducibili alle attività trasferite, comprendendo anche le passività sopraggiunte e la mancata esplicita esclusione conferma che le parti hanno voluto comprendere anche l'eventuale debito derivante dall'accoglimento della revocatoria.

Avverso detta pronuncia propone ricorso il Banco di Sicilia società per azioni, con ricorso affidato ad otto motivi (il nono motivo, in punto spese, é privo di censure e costituisce la mera conseguenza di quanto avrebbe dovuto, in tesi, decidere la Corte del merito).

Si difende con controricorso il Fallimento.

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il Banco di Sicilia denuncia la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, e/o la violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione entrambi il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, artt. 110, 111, 299, 300, 302, 303 e 305 c.p.c., per avere il Giudice di merito ritenuto ammissibile la prosecuzione e/o la riassunzione del giudizio esclusivamente nei confronti del Banco di Sicilia. Secondo la parte, la pronuncia delle Sezioni unite 15005/01 é inconferente, perché nel caso di cui si tratta il giudizio non é stato instaurato ab origine nei confronti della cessionaria D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90, ma della Sicilcassa in bonis, e quindi, a seguito dell'interruzione, il giudizio avrebbe dovuto essere riassunto o proseguito nei confronti del soggetto dichiarato insolvente(nel negare alla messa in liquidazione natura successoria) o verso il successore universale ex art. 110 c.p.c., sempre comunque nei confronti della Sicilcassa in l.c.a..

La cessione di ramo d'azienda D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90, dal punto di vista processuale, va ricondotta alla fattispecie di cui all'art. 111 c.p.c., da cui consegue che la riassunzione del giudizio interrotto deve avvenire in primo luogo, nei confronti della banca posta in liquidazione(sia che si consideri successore universale o stesso soggetto che ha subito l'evento), salva la possibilità di chiamare in giudizio anche il successore a titolo particolare, e salva in ogni caso la possibilità di estendere a questi gli effetti del giudicato.

Secondo la pronuncia 15005/01, si verrebbe a creare una nuova obbligazione in capo al cessionario, da cui, a tutto concedere, la possibilità di proporre nei confronti di questi una nuova domanda, ma non certo di riassumere la domanda già proposta solo verso il cedente.

In ogni caso, sia nell'ipotesi della successione che della costituzione di una nuova obbligazione in capo al Banco di Sicilia, la riassunzione sarebbe dovuta avvenire nei confronti della Liquidazione coatta e per rendere opponibile il credito al Banco di Sicilia, il Fallimento avrebbe dovuto comunque proseguire l'azione anche in sede di liquidazione coatta, come previsto dal D.Lgs. n. 385, art. 90.

Ne consegue, secondo il Banco di Sicilia, l'estinzione del giudizio, non essendovi stata riassunzione o prosecuzione idonea ad interrompere il decorso del termine ex art. 305 c.p.c., o, in subordine, la rimessione al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio.

1.2.- Col secondo motivo, il Banco si duole del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo se, in concreto, a seguito della cessione, si sia verificata successione a titolo particolare del Banco di Sicilia o si sia creata una nuova obbligazione solidale.

Secondo la parte, la Corte del merito avrebbe dovuto specificare se vi é stata successione a titolo particolare o la costituzione di una nuova obbligazione, ed in tal caso, la parte non avrebbe potuto riassumere o proseguire il giudizio, ma avrebbe dovuto instaurare una nuova autonoma azione.

1.3.- Col terzo motivo, la parte si duole del vizio motivazionale, sotto il profilo principalmente della contraddittorietà, ma anche dell'omissione o insufficienza, in relazione al fatto controverso e decisivo che il giudizio é stato originariamente proposto contro Sicilcassa e non "soltanto contro il Banco di Sicilia". Secondo la Banca ricorrente, la Corte del merito avrebbe giudicato come se la causa fosse stata in origine proposta direttamente contro il Banco cessionario.

1.4.- Col quarto mezzo, il Banco denuncia il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 4, sostenendo, in subordine, la nullità della sentenza ex artt. 132 e 156 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per l'apparenza della motivazione o la carenza radicale dei requisiti minimi della stessa, alla stregua del medesimo rilievo di cui al motivo precedente.

1.5.- Col quinto motivo, la parte denuncia il vizio motivazionale in relazione al fatto decisivo e controverso se l'art. 2, comma 5 della cessione "prevede espressamente che il cessionario risponde delle sole passività risultanti dallo stato passivo, definendo così l'ambito di responsabilità, ex lege, del cessionario per i debiti del cedente" (così il quesito di diritto).

Secondo la parte, la Corte palermitana avrebbe omesso di esaminare l'art. 2 comma 5 della cessione, che esclude la responsabilità del cessionario per le passività risultanti dallo stato passivo.

1.6.- Col sesto mezzo, la parte denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, per non avere la Corte territoriale considerato che il Banco di Sicilia risponde dei soli crediti ceduti che siano stati preventivamente ammessi al passivo della liquidazione coatta.

In ogni caso, il Banco ricorrente fa valere il disposto di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2, norma ritrascritta nell'art. 2 dell'atto di cessione, che si limita ad affermare che i crediti ceduti ma non ammessi al passivo non sono opponibili; detta norma presuppone che si tratti di crediti ceduti, quindi il Banco risponde delle passività che gli sono state cedute solo se ed in quanto il creditore abbia ottenuto l'ammissione al passivo della L.c.a., sicché é irrilevante accertare se il credito sia stato ceduto.

1.7.- Col settimo mezzo, il Banco si duole della violazione e falsa applicazione di legge e/o della nullità della sentenza in relazione all'art. 2697 c.c., nonché del difetto di motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo se l'asserito credito sia stato ammesso allo stato passivo della Liquidazione coatta, per avere la Corte palermitana posto a carico del Banco l'onere di provare che il rapporto ceduto non rientrasse tra quelli per i quali il cessionario é solidalmente responsabile.

1.8.- Con l'ottavo mezzo, il Banco si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 2560 c.c. per avere la Corte palermitana confuso tra operatività e/o efficacia della cessione e responsabilità del cessionario; anche ad inquadrare la cessione in oggetto nella categoria della cessione di azienda, si applicherebbe l'art. 2560 c.c., e, non risultando il presunto credito dai libri obbligatori, il Banco di Sicilia non é tenuto a risponderne.

2.1.- I primi quattro motivi, strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente e sono da ritenersi sostanzialmente infondati.

La vicenda processuale su cui si appuntano le censure é sintetizzata come segue: il Fallimento DMT F.B. s.r.l. agiva in revocatoria ex art. 67, comma 2 l.f. nei confronti di Sicilcassa, in relazione ai versamenti oltre il limite dei fidi eseguiti dalla società nell'anno anteriore al fallimento sul conto corrente di corrispondenza n. (*); all'udienza del 21/1/98, il giudizio veniva dichiarato già interrotto, attesa la messa in liquidazione coatta amministrativa di Sicilcassa con decreto ministeriale del 5/9/97; il Fallimento riassumeva nei termini il giudizio nei confronti del Banco di Sicilia, quale "successore della Sicilcassa", in forza dell'atto di cessione del 6/9/97, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90.

Le censure in rito avanzate dal Banco di Sicilia sostanzialmente sono intese a far valere che, trattandosi di giudizio instaurato contro Sicilcassa, la riassunzione sarebbe dovuta avvenire nei confronti della parte colpita dall'evento o dei suoi eredi o, più propriamente, ex art. 303 c.p.c. nei confronti di "coloro che debbono costituirsi per proseguirlo", e non nei confronti del cessionario D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90, che non assume la veste né del soggetto in prosecuzione del medesimo ente posto in liquidazione coatta, né di successore a titolo universale.

La parte ribadisce che non si può riassumere il giudizio nei confronti del successore a titolo particolare e che la riassunzione non può che avvenire nei confronti della parte colpita dall'evento e non già verso chi non era parte né erede, e che, a dire della controparte, avrebbe acquistato il diritto controverso a titolo particolare.

La particolarità della situazione di specie é data dal fatto che, all'evento della messa in liquidazione, tale da determinare la perdita della capacità processuale della Sicilcassa, da cui l'interruzione del giudizio in corso, é seguita la cessione D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90, comma 2, come regolata dall'atto di cessione per notaio Serio del 6/9/1997, e la riassunzione é stata effettuata nei confronti del Banco di Sicilia, quale unico soggetto in relazione al quale il Fallimento ha inteso coltivare la domanda ex art. 67, comma 2 l.f..

Ciò posto, va assunta quale statuizione coperta dal giudicato, l'affermazione della Corte del merito, che nel caso, come già affermato dalla giurisprudenza che si é interessata della fattispecie (e ribadito nelle pronunce successive, tra le quali le sentenze 10653/2010 e 23992/2011), é stato realizzato non un mero trasferimento di attività e passività, ma un trasferimento d'azienda, stante la cessione di un complesso funzionale di beni e strutture nonché del personale, in modo da consentire la prosecuzione presso la nuova impresa bancaria, della medesima attività svolta dalla cedente.

La Corte del merito ha ritenuto legittimato passivo il Banco, in quanto subentrato alla "banca in origine obbligata" e così correttamente riassunto il giudizio, in tal modo collegando alla legittimazione passiva la correttezza della riassunzione, con un'argomentazione che necessita di approfondimento e di parziali correzioni, ex art. 384 c.p.c., u.c..

Non può, innanzi tutto, ritenersi risolutivo sul punto il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite, 15005/2001, in quanto la stessa si riferisce alle posizioni debitorie nel caso di cessione da parte di istituto di credito in liquidazione coatta ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, ma nel caso di azione promossa ab initio contro la cessionaria.

Maggiormente utile può essere il richiamo alla pronuncia 875/2003, sempre delle Sezioni unite, relativa al giudizio di rinvio instaurato, a seguito dell'apertura della Liquidazione coatta, nei confronti della cessionaria delle attività e passività del Credito commerciale, che ha ritenuto: a) che per le posizioni debitorie, a seguito del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, ove si determini liberazione dell'originario obbligato, si realizza mutamento soggettivo del rapporto, qualificabile come successione; b) che occorreva prescindere dal patto del contratto di cessione inerente al subingresso della banca cessionaria nei procedimenti in corso,atteso che le disposizioni processuali in materia di contraddittorio sono sottratte alla disponibilità delle parti, salva restando l'eventuale rilevanza del patto come impegno a prestare futuro consenso all'estromissione del dante causa ai sensi del 111 c.p.c.; c) che la successione a titolo universale si realizza solo in dipendenza della vicenda estintiva della parte, per la morte per la persona fisica e similari eventi per la persona giuridica o altri enti dotati di soggettività e la cessione in esame non comporta il venire meno della cedente né si correla a fatto estintivo, rimanendo in vita la banca cedente; d) che la successione a titolo particolare nel diritto controverso comporta la scissione della titolarità del rapporto sostanziale dal rapporto processuale, che rimane in capo al dante causa, e l'estraneità al processo del cessionario cessa per effetto dell'intervento o della chiamata in causa o per l'esercizio della facoltà di impugnazione, e la citazione del successore per la prima volta in sede di impugnazione é assimilabile alla chiamata in causa;

che la notificazione dell'impugnazione solo al successore a titolo particolare, che non abbia già assunto la veste di parte, vale a conferire detta qualità, non si determina la nullità del giudizio e, in difetto di estromissione, vi é solo incompletezza del contraddittorio, che necessita di integrazione.

Orbene, posto che anche nel caso in oggetto, può assimilarsi alla chiamata la riassunzione nei confronti della cessionaria, va altresì rilevato che la specifica disposizione di cui al D.Lgs. n. 385, art. 83, comma 3 dispone che "dalla data prevista dal comma 1 (cioé, dalla data di emanazione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta) contro la Banca in liquidazione non può essere promossa o proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli artt. 87, 88 e 89 e art. 92, comma 3 (si tratta dell'opposizione allo stato passivo, con le relative impugnazioni, dell'insinuazione tardiva e della contestazione sul riparto finale), e che, alla data della cessione in oggetto, era entrato in vigore il D.Lgs. n. 415 del 1996, che ha sostituito il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 92 ed al comma 9, ha disposto che:" Nei casi di cessione si sensi dell'art. 90, comma 2, del presente decreto, i commissari liquidatori sono estromessi, su propria istanza, dai giudizi relativi ai rapporti oggetto della cessione nei quali sia subentrato il cessionario".

Dalla lettura di dette due norme, si evince che, sul piano del processo, é stata preclusa la capacità processuale passiva della Liquidazione coatta, e la norma successiva ha inteso specificare tale situazione processuale, stabilendo l'estromissione su istanza dei commissari liquidatori dai giudizi anche attivi nei quali sia subentrato il cessionario.

Regolamentato in tal modo il profilo processuale della Liquidazione coatta, ne consegue che, disposta per legge l'improseguibilità del giudizio contro Sicilcassa in l.c.a., sarebbe stata destinata ad una pronuncia in mero rito la riassunzione ove diretta verso la Liquidazione, mentre la riassunzione nei confronti della cessionaria, equiparabile alla chiamata in causa, é stata idonea a ridare impulso al processo.

Alla stregua di detti rilievi, deve ritenersi corretta la statuizione della Corte del merito, sia pure con le modificazioni in diritto di cui sopra.

Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: "Ove sia stata azionata domanda di revocatoria fallimentare delle rimesse solutorie nei confronti di società bancaria, posta in liquidazione coatta amministrativa in corso di causa, da cui l'interruzione del processo, va ritenuta valida la riassunzione effettuata nei confronti della cessionaria D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90, da equipararsi alla chiamata in causa della stessa quale successore a titolo particolare, essendo improseguibile per legge l'azione nei confronti della Liquidazione coatta amministrativa".

2.2.- Gli ulteriori motivi del ricorso vanno esaminati congiuntamente, e sono da ritenersi inammissibili.

La Corte del merito ha ritenuto che le parti non avevano limitato il trasferimento alle sole passività risultanti dallo stato passivo, interpretando l'atto di cessione, in specie l'art. 2 dell'atto notaio Serio del 1997.

Il Banco ricorrente, con i motivi da cinque ad otto, ha inteso denunciare vizi motivazionali in relazione all'art. 2, comma 5 della cessione del 6/9/97 (quinto motivo); vizi ex art. 360, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2 (sesto motivo);

vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, in relazione all'onere della prova dell'ammissione allo stato passivo della L.c.a., D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 90 (settimo motivo); vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, sempre in relazione all'interpretazione dell'art. 2 dell'atto di cessione, sostenendo l'applicazione dell'art. 2560 c.c..

Ciò posto, si deve rilevare, in via dirimente, che la parte non ha assolto al disposto di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile nella specie (la sentenza impugnata é stata depositata il 5/6/2006), che, come statuito nella pronuncia delle Sezioni unite 7161/2010 (e conf. le successive pronunce delle sezioni semplici, 17602/2011 e 124/2013), oltre a richiedere l'indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo é stato prodotto e la sede in cui il documento é rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l'indicazione che il documento é prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione ed indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso.

Il Banco ricorrente, infatti, non ha né indicato la sede processuale della produzione dell'atto di cessione, né prodotto lo stesso, neppure riportato per l'intero detto articolo. Va in ogni caso riscontrata un'ulteriore ragione di inammissibilità.

La sentenza impugnata, come si é già detto, si é basata sull'interpretazione dell'art. 2 dell'atto di cessione, e quindi la stessa sarebbe stata censurabile sotto il profilo del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendosi la mancata valutazione di un comma dell'art. 2 del contratto, atteso che il "fatto" decisivo e controverso non può che essere un fatto storico e non una norma contrattuale, ma con la specifica indicazione dei canoni interpretativi, violati secondo la parte, e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà della motivazione, nonché del punto e dei modi in cui il Giudice di merito si sarebbe discostato dai canoni ermeneutici o sarebbe incorso in vizi motivazionali, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (così tra le ultime, le pronunce 14318/2013, 6641/2012 e 23635/2010). Né, infine, potrebbero esaminarsi le censure intese a far valere la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, atteso che la Corte del merito, risolvendo le questioni preliminari alla stregua dell'interpretazione del disposto contrattuale, ha implicitamente ritenuto queste idonee a superare la norma di legge, ritenuta pertanto derogabile. Tale interpretazione deve ritenersi corretta, vista la pronuncia 22253/2012, che, proprio nel caso di revocatoria fallimentare di rimesse bancarie proposta nei confronti del Banco di Sicilia, quale cessionario delle attività e passività della Sicilcassa, aderendo motivatamente all'orientamento espresso nelle pronunce 17668/2010 e 7831/1994, e disattendendo quello fatto proprio dalla pronuncia 10655/2010, ha enunciato il principio della derogabilità del disposto del D.Lgs. n. 385, art. 90, in forza della pattuizione contrattuale, intendendo più propriamente la cessione delle passività in termini di accollo delle passività in conseguenza del trasferimento dell'azienda, da cui ha concluso nel senso che, pur non potendosi ritenere sussistente alla data della cessione il debito corrispondente alle rimesse revocabili in considerazione della natura costitutiva della revocatoria, allo scioglimento del contratto di conto corrente col fallimento, sussisteva già il diritto del Fallimento per agire in revocatoria, sulla base dei presupposti di fatto preesistenti, a cui corrispondeva la posizione di soggezione dell'istituto di credito, e tale soggezione costituiva elemento valutabile alla data dell'accordo di cessione tra i Commissari liquidatori ed il Banco di Sicilia.

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso. Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il Banco di Sicilia S.p.A.

alle spese, liquidate per compenso in Euro 8000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2014.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2014