Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 8506 - pubb. 13/02/2013

Retribuzione percepita all'estero e ricalcolo del trattamento pensionistico in Italia; disapplicazione di norme CEDU e rapporti con il diritto costituzionale interno

Corte Costituzionale, 28 Novembre 2012, n. 264. Est. Morelli.


Retribuzione percepita all’estero – Ricalcolo per il trattamento pensionistico in Italia – Norma di interpretazione autentica (Legge finanziaria 2007) – Contrasto con l’art. 6 par. 1 Cedu come interpretato dalla Corte EDU con la sentenza 31 maggio 2011, Maggio ed altri contro Italia – Incostituzionalità – Esclusione.

Norme della Cedu – Rapporti con il Diritto Interno – Disapplicazione – Esclusione – Norma interposta – Sussiste.

Norme della Cedu – Rapporti con il Diritto Costituzionale Interno – In materia di diritti fondamentali – Chiarimenti.



L’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), nel fornire la interpretazione dell’articolo 5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria), sostanzialmente prevede che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo, introducendo nell’ordinamento una interpretazione della disciplina de qua in senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati: tale norma non si pone in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza 31 maggio 2011, Maggio c/ Italia (La Consulta dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 - legge finanziaria 2007 -, sollevata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la Corte Costituzionale ha costantemente ritenuto che «le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (Consulta: sentenze n. 236, n. 113, n. 80 – che conferma la validità di tale ricostruzione dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – e n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311 del 2009). Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, quindi, «il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica dà esito negativo e il contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna né farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo una questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., ovvero all’art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Nella giurisprudenza costituzionale si è, inoltre, reiteratamente affermato che, con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Del resto, l’art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l’interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. Di conseguenza, il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, concetto nel quale deve essere compreso, come già chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela. Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale − elaborato dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea − deve essere sempre presente nelle valutazioni della Corte Costituzionale, cui non sfugge che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. In definitiva, se, come più volte affermato dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007), il giudice delle leggi non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella data in occasione della sua applicazione al caso di specie dalla Corte di Strasburgo, con ciò superando i confini delle proprie competenze in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l’apposizione di riserve, della Convenzione, esso però è tenuto a valutare come ed in quale misura l’applicazione della Convenzione da parte della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sent. n. 317 del 2009). Operazioni volte non già all’affermazione della primazia dell’ordinamento nazionale, ma alla integrazione delle tutele. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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