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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/06/2023 Scarica PDF

La legittimazione processual-tributaria del fallito (nota a Cass. Civ., Sez. Un., 28 aprile 2023, n. 11287)

Lorenzo Gambi, Dottore Commercialista in Firenze


Sommario: 1. Massime; Spossessamento e capacità processuale; La soggettività tributaria del fallimento; Il contrasto circa la legittimità processual-tributaria del fallito; Il decisum delle Sezioni Unite.

   

1. In caso di rapporto giuridico d’imposta i cui presupposti si siano verificati prima della sentenza dichiarativa di fallimento, il debitore può impugnare l’avviso di accertamento ex art. 43 l. fall. qualora la curatela non abbia proposto ricorso tributario, indipendentemente dai motivi che l’abbiano portata a tale determinazione.

Se il curatore propone ricorso avverso l’avviso di accertamento, viene meno in capo al fallito la capacità processuale ai fini dell’impugnazione dell’atto impositivo, pena l’inammissibilità dell’azione difensiva, rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo.

 

2. Con l’apertura del fallimento, il debitore è privato della facoltà di amministrare il proprio patrimonio, ex art. 42, comma 1, l. fall.[1], verificandosi il cd. spossessamento: la sentenza che dichiara aperta la procedura concorsuale priva il debitore della disponibilità dei propri beni e/o diritti.[2]

Il potere di gestire il patrimonio dell’imprenditore si trasferisce in capo al curatore, ai sensi dell’art. 31, comma 1, l. fall.[3]

Secondo la Corte di Cassazione, la perdita per il debitore della facoltà di gestire il patrimonio d’impresa, con contestuale traslazione di tale facoltà in capo al curatore, determina una “scissione” tra titolarità e legittimazione, riconducibile al fenomeno della sostituzione, operante ex lege.[4]

Si determina, cioè, una sorta di “segregazione” giuridica sul patrimonio del debitore, con effetti peraltro di natura temporanea: l’imprenditore riacquisterà infatti la piena facoltà sui propri beni/diritti ove alla chiusura della procedura residui una qualche entità patrimoniale.

Il richiamato art. 42, comma 1, l. fall., in tema di spossesamento, è integrato dall’art. 43, comma 1, l. fall.[5], in punto di capacità processuale: il curatore sta in giudizio con riferimento ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, ove anche pendenti al momento dell’apertura del concorso.

Al debitore resta, peraltro, la facoltà di esercitare l’azione difensiva nell’ambito dei giudizi dai quali possa derivare una fattispecie di bancarotta a proprio carico, oltreché nei casi previsti dalla legge, ex art. 43, comma 2, l. fall.[6]

 

3. Con riferimento ai presupposti impositivi, lo spossessamento non determina alcuna variazione circa il soggetto giuridico cui sia riferibile l’obbligazione: la stessa continua a configurarsi in capo al contribuente sottoposto a fallimento.

Il debitore, con l’apertura del concorso perde la disponibilità del patrimonio d’impresa, non già la titolarità dello stesso; né, d’altra parte, esistono norme che qualifichino la procedura fallimentare quale autonomo soggetto d’imposta.[7]

Ciò trova conferma nei criteri di tassazione post fallimento: il prelievo tributario incide sul patrimonio d’impresa, quale credito prededucibile ex art. 111, comma 2, l. fall.[8]

Ciò che muta, con il fallimento, non è dunque il soggetto passivo del rapporto tributario, bensì il soggetto legittimato a compiere gli adempimenti fiscali previsti dalla legge - il curatore - , con effetti che si riverberano sul patrimonio di titolarità del fallito.[9]

 

4. Secondo la Corte di Cassazione, l’ente impositore è tenuto a notificare l’avviso di accertamento relativo ad un credito i cui presupposti siano sorti prima dell’apertura del concorso, sia al curatore, sia al contribuente.

In questo senso, “l’avviso di accertamento concernente crediti fiscali i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al fallito, il quale conserva la qualità di soggetto passivo del rapporto tributario”.[10]

Qualora l’atto impositivo non venga notificato al fallito, la sottostante pretesa è inefficace nei confronti dello stesso: l’accertamento non diviene definitivo nei confronti dell’imprenditore, il quale non è parte “necessaria” del giudizio tributario.[11]

Fra l’altro, la curatela è tenuta a trasmettere al debitore ogni accertamento notificatole, siccome idoneo ad incidere sulla sfera patrimoniale del contribuente.

È così tutelabile l’interesse del fallito a non trovarsi esposto a pretese creditorie non contestate in ambito fallimentare, con particolare riferimento agli effetti sanzionatori amministrativi e/o penali.[12]

Se i principi di cui sopra possono ritenersi pacifici[13], vi è contrato in giurisprudenza sulle condizioni che legittimino il contribuente ad impugnare l’avviso di accertamento in via autonoma.

Secondo un primo orientamento, tale facoltà è subordinata ad una condotta ingiustificatamente inerte da parte del curatore fallimentare.

In questo senso, se la curatela “rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei propri diritti, sempreché l’inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse e non anche quando la stessa consegua ad una negativa valutazione circa la convenienza della controversia”.[14]

Pertanto, secondo tale orientamento, ove la condotta “inerte” della curatela consegua ad una valutazione di non convenienza del giudizio tributario, resta preclusa al contribuente la possibilità di impugnare in via autonoma l’accertamento.[15] 

Secondo altro orientamento, al contrario, il fallito è legittimato de plano ad agire in giudizio per il solo fatto che il curatore si sia astenuto dal promuovere/proseguire il contenzioso tributario.

La capacità processuale del debitore trova dunque legittimazione nell’inerzia, pura e semplice, della curatela, indipendentemente dalle ragioni che l’abbiano indotta a ritenere non conveniente l’azione difensiva.[16]

In questa prospettiva, il fallito non è tenuto ad indagare le cause sottostanti alla condotta della curatela: anche l’inerzia “consapevole” di quest’ultima non preclude la capacità sostitutiva del contribuente.

 

5. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 11287/2023, hanno risolto il contrasto riconoscendo che il fallito ha facoltà di esercitare la propria azione difensiva ogni qualvolta la curatela rimanga inerte, indipendentemente dalle sottostanti ragioni e/o giustificazioni.

Questo il principio statuito dalla Suprema Corte: il fallito cui sia notificato un accertamento relativo ad un’obbligazione sorta prima dell’apertura del concorso, può impugnarlo ex art. 43 l. fall. ove vi si astenga il curatore, rilevando la condotta di pura e semplice inerzia.

All’opposto, la mancanza di uno stato di inerzia da parte della curatela fa venir meno la capacità processuale del contribuente in ordine all’impugnazione dell’atto, circostanza - quest’ultima - rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento.

Secondo le Sezioni Unite, fulcro dell’intera questione è il profilo di specialità dell’obbligazione tributaria e la conseguente peculiarità del rapporto giuridico d’imposta, improntato su uno statuto suo proprio, non riscontrabile nell’ambito delle obbligazioni di diritto privato.

La specialità del credito tributario risiede nel carattere pubblicistico, da cui derivano, da un lato, i requisiti d’imperatività ed indisponibilità della pretesa fiscale (artt.23-53 Cost.)[17], dall’altro, la “esclusività” del foro cui è demandata la cognizione sul rapporto giuridico d’imposta.

In questo quadro, secondo la Corte, le determinazioni della curatela circa le obbligazioni fiscali “concorsuali” sono destinate a condizionare la posizione del contribuente nei confronti dell’Erario una volta che il fallimento sia stato chiuso.

Quanto sopra, nella particolare prospettiva delle conseguenze sanzionatorie, anche penali, dell’inadempimento: “proprio l’aspetto sanzionatorio rende particolarmente eclatante il divario di regime tra obbligazione tributaria ed obbligazione di diritto comune e, con ciò, la diversa intensità delle ragioni di difesa che vanno riconosciute al debitore-contribuente anche se in stato di fallimento”.[18]

Pertanto, il contribuente deve - in ogni caso - essere posto in condizione di potere impugnare l’accertamento relativo a presupposti sorti ante fallimento, quali che siano le ragioni che abbiano indotto la curatela a non spiegare azione difensiva avanti al giudice fiscale.

In quest’ottica, il subordinare l’impugnazione del debitore all’assenza di un’inerzia consapevole della curatela, causerebbe un vulnus al contribuente ogniqualvolta le valutazioni della procedura risultassero non condivisibili, se non addirittura infondate.

Del resto, per concludere, l’eventuale rigetto del ricorso proposto dal fallito non determinerebbe nei confronti della massa alcun onere aggiuntivo.

L’ipotizzabile esito sfavorevole del contenzioso non sarebbe, infatti, opponibile alla curatela fallimentare la quale, anzi, in caso di alternativo esito favorevole, beneficerebbe dell’annullamento, totale o parziale, della pretesa fiscale.



[1] In ambito di Codice della crisi, si veda l’art. 142, comma 1, D.Lgs. n. 14/2019.  

[2] Gli effetti dello spossessamento si producono, ex lege, con l’apertura del concorso: la perdita del potere di disposizione, al riguardo, “è correlata alla destinazione del patrimonio del debitore al soddisfacimento dei creditori concorsuali ed attiene al profilo espropriativo dell’esecuzione fallimentare”: così, L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2012, p. 103.

[3] Si veda l’art. 128, comma 1, CCII; circa il profilo di sostituzione ex lege del curatore, anche in funzione d’una gestione liquidatoria “dinamica”, si veda C. Costa, Gli effetti del fallimento sul fallito, in G. Ragusa Maggiore-C. Costa, Le procedure concorsuali. Il fallimento, Torino, 1997, p. 3 ss.

[4] Cass. Civ., Sez. II, 23 aprile 1993, n. 4776.

[5] Si veda l’art. 143, comma 1, CCII.

[6] Si veda l’art. 143, comma 2, CCII; in giurisprudenza, cfr. Cass. Civ., Sez. V, 14 settembre 2016, n. 18002; Cass. Civ., Sez. I, 14 maggio 2012, n. 7448; Cass. Civ., Sez. II, 17 giugno 2010, n. 14624.

[7] L’unità del ciclo impositivo resta “in funzione dell’unicità del soggetto al quale va riferita la ricchezza prodotta: l’imputazione al fallimento, e non al fallito, dei risultati fiscali della liquidazione concorsuale spezzerebbe tale unità,, alterando l’omogeneità del prelievo”: così, M. Miccinesi, L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, p. 55.

[8] Si vedano gli artt. 6-222, CCII.

[9] Il curatore, in base alla funzione pubblicistica volta a garantire il miglior soddisfacimento dei creditori, “succede” al fallito, quanto all’adempimento degl’obblighi tributari, nel rispetto del principio di tassatività: F. Tesauro, Appunti sugli adempimenti fiscali del curatore fallimentare, in Rass. trib., 1990, p. 241.

[10] Cass. Civ., Sez. VI, 3 aprile 2018, n. 8132.

[11] Secondo la Suprema Corte, in caso “di notifica dell’atto impositivo al solo curatore il contribuente non è parte necessaria del processo. La rappresentanza processuale del curatore, in un’ipotesi del genere, si estende a tutte le controversie relative ai rapporti compresi nel fallimento, così che, essendo egli libero di agire nell’interesse di ciascun soggetto rappresentato e dunque anche del contribuente, l’integrità del contraddittorio viene ad essere garantita dall’unicità del curatore”: così, Cass. Civ., Sez. V, 18 marzo 2016, n. 5392.

[12] Cass. Civ., Sez. I, 28 aprile 1997, n. 3667.

[13] Si vedano, fra le altre, Cass. Civ., Sez. V, 6 febbraio 2009, n. 2910; Cass. Civ., Sez. V, 18 dicembre 2008, n. 29642; Cass. Civ., Sez. V, 8 marzo 2002, n. 3427.

[14] Così, Cass. n. 8132/2018, cit.; in senso conforme, anche Cass. Civ., Sez. V, 24 luglio 2014, n. 16816.

[15] Cosicché, la “scelta consapevole della procedura di non instaurare o subentrare al fallito in una controversia relativa a rapporti patrimoniali del medesimo esclude la legittimazione del fallito ex art. 43 l. fall.”: così, Cass. Civ., Sez. VI, 6 luglio 2016, n. 13814; in senso conforme, si vedano anche Cass. Civ., Sez. V, 26 novembre 2021, n. 36894; Cass. Civ., Sez. V, 16 novembre 2021, n. 34529.

[16] In questo senso, si vedano Cass. Civ., Sez. V, 16 aprile 2007, n. 8990/07; Cass. Civ., Sez. III, 10 maggio 2013, n. 11117/13, nonché altra giurisprudenza richiamata in Cass. Civ., Sez. V, 6 febbraio 2009, n. 2910.

[17][17] Si veda, in ambito comunitario, l’art. 6 CEDU e la correlata giurisprudenza (Corte di Giustizia UE, C-44759/98).

[18] Cass. Civ., Sez. Un., 28 aprile 2023, n. 11287.



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